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27 aprile 2019

Intervista a Luca Briasco


27 aprile 2019

Fedeli Lettori, ho il piacere di riportarvi la chiacchierata che ho fatto insieme a Luca Briasco, editor di narrativa straniera per minimum fax e di recente autore delle traduzioni degli ultimi libri di Stephen King editi in Italia da Sperling & Kupfer. Ha scritto diversi saggi sulla letteratura degli Stati Uniti. Con Mattia Carratello ha curato La letteratura americana dal 1900 a oggi. Dizionario per autori (Einaudi, 2011). Ha tradotto una quarantina tra romanzi e raccolte di racconti. Nel 2016 ha pubblicato con Minimum Fax Americana. Libri, autori e storie dell'America contemporanea.

(foto: © Rai Letteratura)



Benvenuto, Luca, e grazie per aver accettato di essere mio ospite qui per un giorno. Inizierei subito parlando di Elevation, l'ultima storia di King arrivata nelle librerie italiane.
Questo piccolo omaggio a Richard Matheson, nella sua brevità e semplicità, mi sembra abbia una forza intrinseca che si potrebbe tendere a sottovalutare, non trovi?

Condivido. Capita spesso ai libri semplici, nella lingua come nella struttura, di essere un po' sottovalutati. Quando però la semplicità è un traguardo, il frutto di un processo di condensazione, rischia spesso di coincidere con la grande letteratura. Questo è, secondo me, in buona parte vero per quanto concerne Elevation.


Non è un segreto il mio basso gradimento per il thriller The Outsider, dove (a mio avviso) King non ha del tutto dimostrato quella sua peculiare abilità che lo contraddistingue: il saper dare realismo al sovrannaturale, facendolo accettare al lettore. Con The Outsider non sono riuscito a "sospendere la mia incredulità" e a godermi la piega horror del romanzo, che ha stonato troppo alle mie orecchie. Al contrario, Elevation emerge come esempio perfetto di capacità di raccontare l'assurdo e l'imponderabile rendendolo credibile.

Concordo. Ma la ragione secondo me ha più a che fare con la coerenza e la credibilità dei personaggi stessi. Credo, in sostanza, che in Elevation la sospensione dell'incredulità nasca dallo spessore che acquisisce il protagonista, Scott Carey, con la sua medietà mai banale, e dal modo in cui la perdita di peso a massa corporea invariata finisce per imporgli, letteralmente, un altro sguardo sul mondo. Se la stessa sospensione dell'incredulità non si verifica in The Outsider non è solo o tanto per una debolezza di trama, ma perché i personaggi rimangono legati mani e piedi a quanto viene raccontato nella prima parte del romanzo, a mio avviso la cosa migliore che King abbia scritto negli ultimi anni. Insomma, la storia di Terry Maitland è così potente da rimanere il vero centro focale del libro. E della caccia all'Outsider non frega più niente a nessuno!


Una sezione del tuo volume "Americana" edito da minimum fax è dedicata ai maestri della short story statunitense, da Hemingway a Carver passando per Cheever. Proprio di John Cheever, tra gli altri, citi "Una radio straordinaria", stupendo racconto del 1947 in cui la quotidianità di una coppia è interrotta da uno strano evento: la nuova radio di casa, inspiegabilmente, trasmette in diretta, al posto delle trasmissioni musicali, voci e avvenimenti in corso negli altri appartamenti del condominio. Una situazione che turba i protagonisti e che calzerebbe secondo me a pennello alla figura narrativa di King, autore che eccelle anche nella forma del racconto breve (a prescindere dal genere), sovente poco considerata dai lettori.

Sono pienamente d'accordo con te. Il racconto (e la novella nel senso americano del termine, ossia il racconto lungo con strutturazione interna in capitoli) è per me la vera misura di King. Sul romanzo gli capita a volte di barcollare - non sempre, eh... in fondo i suoi due capolavori sono romanzi monstre come It e L'ombra dello scorpione -, mentre nella misura breve la qualità media è elevatissima. In questo King è pienamente erede dei suoi tre maestri: Lovecraft, Bradbury, Matheson. Quando mi chiedono un libro di King dal quale partire, la mia risposta è quasi sempre Stagioni diverse, a volte Cuori in Atlantide...



Sempre in "Americana" descrivi It come un "gigantesco monolite piantato nel cuore degli anni Ottanta; una poderosa macchina narrativa che rielabora i grandi topoi della tradizione americana", e lo proponi come quel grande romanzo americano che in tanti ancora cercano...

Si trattava di una considerazione per certi versi paradossale. Avrei potuto rispondere al quesito dicendo: ma che lo cercate a fare, il Grande romanzo americano, dopo Moby Dick, La Lettera scarlatta e Huckleberry Finn? In quei tre libri, in un certo senso, c'è in nuce tutta la narrativa americana fino a oggi.
Siccome però la caccia al Grande romanzo americano è proseguita, optando ora per macchine narrative esemplari come Pastorale Americana, ora per opere affette da gigantismo come L'arcobaleno della gravità o Infinite Jest, perché non premiare una macchina narrativa esemplare e gigantesca insieme, che affronta quasi tutti i grandi nuclei tematici sui quali ruota l'autodefinizione dell'America? Perché It è questo: un concentrato di temi e di topoi, tradotti in una trama avvincente nella quale horror, romanzo di formazione, storia d'avventura e perfino romanzo storico trovano spazio uno accanto all'altro.


Parlaci ora un po' della tua professione. Come approcci al tuo metodo di lavoro di traduzione?

Ho un modo di lavorare tutto particolare, o almeno così è emerso dal confronto con altri traduttori e amici. Leggo il libro una prima volta per puro godimento: da lettore puro, insomma. Lo leggo una seconda volta con la matita in mano, sottolineando tutti i passaggi che mi sembrano richiedere una qualche forma di ricerca o di approfondimento (che si tratti di una particolare complessità terminologica o del riferimento specifico a un personaggio, uno show televisivo, uno sport che non mi è del tutto familiare). Lo leggo una terza volta mentre effettuo le ricerche del caso. Completata questa tripla lettura, mi metto al lavoro, e posso essere velocissimo. Mi capita di tradurre anche 15, 20 cartelle in una giornata. Finita la traduzione, entro in auto-revisione, con un primo passaggio sostanziale e un secondo di rifinitura. L'ultima rilettura è quella della bozza, con i suggerimenti del revisore, che di solito accetto nel novanta per cento dei casi. Specie se il mio interlocutore è un professionista di qualità, e vi assicuro che nel caso di Sperling il livello è davvero molto alto.
Infine, nel caso di King ho introdotto una variante specifica: mentre traduco rileggo romanzi precedenti per ascoltare la voce dei traduttori che hanno aperto la strada, da Tullio Dobner a Giovanni Arduino. Per inserirmi così nella loro scia, seppur con le mie specificità.


Non so se è prematuro ma, da ultimo, vorrei chiederti se la traduzione del prossimo romanzo di Stephen King "The Institute" (che uscirà a settembre nei paesi anglosassoni ➤ qui la trama) porterà ancora la tua firma e, nel caso, se ci stai lavorando in questo momento.

Sì, sarò ancora io a firmarla. Finché in Sperling sono contenti (e perché lo siano serve che dai lettori arrivi un feedback positivo) e le forze mi sostengono, io vado avanti. Ovviamente sì, ci sto lavorando già da alcuni mesi, e sono in dirittura finale. Non so quale sarà la data di pubblicazione, ma io tra poco chiudo!


1 commento:

  1. Io ho letto di recdente un suo saggio sul Re, l'ennesimo dopo altri saggi come quello di George Beohm, Woods e Bev Vincent. Comprerò sicuramente Americana. Antonio Mercurio

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