27 gennaio 2021
Stephen King ha raccontato nella sua lunga carriera tanti tipi di orrore, e ha avuto modo di narrarne anche uno dei più immensi della Storia dell'umanità, un orrore pensato, e poi attuato, da uomini in carne ed ossa. Verificatosi realmente, nel cuore del XX secolo: lo sterminio di milioni di ebrei.
Lo ha fatto in Un ragazzo sveglio, novella pubblicata nel 1982 nella splendida antologia Stagioni diverse, nota soprattutto per altri due capolavori del Re, Rita Hayworth e la redenzione di Shawshank e Il corpo (da cui sono stati tratti i bellissimi film Le ali della libertà e Stand by me).
L'interesse di Stephen King è rivolto come sempre alla scoperta dei meccanismi della mente; lo scavo di King nella follia del massacro di milioni di persone prende il via dalla fascinazione di un ragazzino di tredici anni di nome Todd Bowden verso tutto ciò che è macabro e perverso.
Siamo a metà degli anni '70, Todd vive a Santo Donato, in California, ed è il classico bravo ragazzo americano con ottimi voti a scuola, figlio di una coppia di genitori di buona famiglia e che, quando può, si guadagna qualche dollaro con piccoli lavoretti.
Niente lascerebbe sospettare l'oscurità che alligna dentro di lui.
Fino a che, dopo vari pedinamenti e ricerche, non riesce a scoprire che il vecchio signor Arthur Denker, che abita vicino a casa sua, in realtà non è chi fa credere di essere: il suo vero nome è Kurt Dussander, ex militare delle SS durante la Seconda Guerra Mondiale, fuggito come tanti altri dall'Europa prima di essere catturato e processato.
"Il Sanguinario", era il suo soprannome.
Todd non rivela ad anima viva la sua scoperta, ha in mente qualcos'altro. Un ricatto. Una vera e propria estorsione, ma non di denaro.
Di orrore.
Si presenta con una scusa all'abitazione di Dussander facendogli capire che sa tutto di lui e del suo passato. L'ex militare nazista è all'inizio recalcitrante, ma non può che cedere all'insistenza di quel ragazzino sfacciato che dal vecchio Kurt non vuole un centesimo, no.
"Come hai fatto a scoprirlo?" gli chiede.
"Con un po' di fortuna e molto lavoro" risponde Todd. "Ho un amico che si chiama Harold Pegler, però noi lo chiamiamo Foxy [...] Suo padre tiene un sacco di riviste nel garage. Tante davvero. Riviste di guerra. Roba vecchia. [...] Sono riviste con foto di crucchi - di soldati tedeschi volevo dire - e di giapponesi che torturano le donne. E con articoli sui campi di concentramento. Io ci vado matto."
Dussander è sconcertato da quell'affermazione.
"Ci vado matto", aveva proprio detto così quel ragazzino sveglio e senza pudore.
Ma è la richiesta successiva di Todd che sorprende di più il vecchio comandante tedesco. Sì, perché Todd non si accontenta di qualche immagine presa da una rivista, vuole vedere il male coi propri occhi, al microscopio. Vuole che Kurt Dussander gli racconti per filo e per segno tutti gli orrori che ha compiuto, senza tralasciare il minimo dettaglio, anche il più indicibile.
Il padre di Todd, d'altronde, ritiene che "i ragazzi debbano imparare a conoscere la vita appena possibile, nei suoi aspetti positivi e negativi. Così si è pronti per affrontarla." Suo padre dice che la vita è come una tigre e che bisogna prenderla per la coda.
Kurt Dussander è come quella tigre, per Todd.
"Voglio sapere com'era. Tutto qui. Non voglio nient'altro", e in cambio Todd non rivelerà a nessuno chi si cela in realtà dietro al nome di Arthur Denker.
Todd si sporse in avanti, appoggiando i gomiti sulle ginocchia. "I plotoni d'esecuzione. Le camere a gas. I forni. Gli uomini che dovevano scavarsi la fossa e rimanere sull'orlo in modo da caderci dentro. Gli..." Con la lingua si bagnò le labbra. "Gli esami. Gli esperimenti. Tutto. Tutti i particolari raccapriccianti."
"Tu sei un mostro" gli dice sommessamente il vecchio. Todd arriccia un po' il naso e lo affonda con un altro dei suoi ragionamenti che sembrano filare alla perfezione: "Stando ai libri che ho letto per la mia ricerca, il mostro è lei, signor Dussander. Non io. Lei li ha spediti nei forni, non io. Duemila al giorno a Patin prima che arrivasse lei, poi tremila, e prima che arrivassero i russi a fermarla, tremila e cinquecento. Himmler la riteneva un campione di efficienza, e le diede una medaglia. E lei dice che il mostro sono io? Che coraggio!"
Staffilate che portano l'ex nazista a cedere a quel nero ricatto. E per mesi, quasi ogni giorno, accoglie in casa il ragazzo per raccontargli quello che desidera sentire. Tutti i particolari... Dei dottori che mettevano due gemelli in celle frigorifere per vedere se morivano nello stesso istante o se uno dei due durava più a lungo, della terapia elettroshock, delle operazioni senza anestesia, e dei soldati tedeschi che violentavano quante donne volevano.
"Se non mi fossi attenuto agli ordini, sarei morto", prova a giustificarsi Dussander. "Abbiamo agito esclusivamente per ragioni di sopravvivenza, e non c'è niente di buono nella sopravvivenza."
Parole che a Todd non fanno né caldo né freddo, scuse puerili che non gli interessano. Lui ha sete di orrore e, col passare del tempo, anche Dussander scopre di volerlo tirare fuori di nuovo, quell'orrore, creando via via col ragazzo un rapporto sempre più dipendente e malato.
Todd arriva al punto di regalare all'uomo un costume che riproduce l'uniforme delle SS.
"No", disse sottovoce. "Non la indosserò. Questo è troppo, ragazzo. Toglitelo dalla testa".
"Nel 1944 non le dispiaceva indossarla, anzi!"
Dussander è consapevole del potere psicologico di quel ragazzino su di lui, in grado di farlo sentire a disagio ma al contempo di infondergli un sollievo subdolo, come se rivivere i tempi oscuri della guerra gli servisse per emendarsi.
Asseconda allora il macabro voyeurismo di Todd. E indossa l'uniforme.
Una scena resa celebre nel film L'allievo del 1998, diretto da Bryan Singer, dove uno straordinario Ian McKellen interpretava il vecchio Kurt Dussander.
Mese dopo mese, le rivelazioni del criminale nazista agiscono come un veleno in quel pozzo nero che è la mente di Todd, che inizia a non riuscire più a pensare ad altro, tormentato da incubi notturni che contribuiscono a farne calare drasticamente il rendimento scolastico.
Anche Dussander sogna, la notte. Li vede, i morti senza pace, gli Juden, che barcollano alle sue spalle, con i numeri blu in risalto sulle braccia, coi volti carichi d'odio, desiderosi di vendetta.
Una spirale di follia che trascinerà i due protagonisti in un baratro profondissimo, in cui il male sembra regnare incontrastato nel vuoto. Nella sua incommensurabile banalità.
"Le cose che sono successe in quei campi hanno ancora il potere di far fare le capriole allo stomaco. Ma forse tutti proviamo un certo fascino macabro nella nostra mente per ciò che hanno fatto quei tedeschi - qualche cosa che apre le catacombe dell'immaginazione. Forse una parte delle nostre paure e dei nostri orrori deriva proprio dalla conoscenza segreta che nelle giuste - o sbagliate - circostanze anche noi saremmo stati in grado di costruire gli stessi posti con le nostre mani. Scoperta spiacevole. Forse sappiamo che nelle circostanze giuste ciò che si agita nelle catacombe sarebbe felicissimo di salire a galla." (S. King, Un ragazzo sveglio - Sperling & Kupfer 1982, traduzione di Paola Formenti)
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